Il pentito Pignataro davanti al gup
Aveva 11 anni, era figlia del procuratore Lamberti. La confessione del collaboratore sarà valutata dal giudice per l'udienza preliminare: «Un peso sulla coscienza»
di Petronilla Carillo
Sarà il gup Sergio De Luca, il prossimo 9 ottobre, a valutare la posizione di Antonio Pignataro, il pentito che si è auto accusato di aver partecipato all’agguato nel quale morì la piccola Simonetta Lamberti di Cava de’ Tirreni. Per il sostituto procuratore dell’Antimafia, Vincenzo Montemurro, al momento è lui l’unico indagato per il quale ha chiesto il rinvio a giudizio, 31 anni dopo l’efferato omicidio della figlia undicenne del procuratore Alfonso Lamberti. Originario di Nocera, 55 anni, Pignataro faceva parte allora del gruppo cutoliano della camorra nell’agro nocerino-sarnese. Detenuto da diverso tempo, in un anno è stato sentito tre volte dal pm Vincenzo Montemurro della Dda salernitana.
Nell’inchiesta, a riscontro e come elementi d’accusa, compaiono anche le dichiarazioni del pentito Giovanni Gaudio e di Angelo Moccia, esponente del clan omonimo di Afragola, per molto tempo detenuto nella stessa cella di Pignataro.
Fu proprio Moccia a raccogliere le prime confidenze sull’omicidio di Simonetta Lamberti. Fu anche lui a spingere e consigliare Pignataro di parlarne con gli inquirenti. Già nei primi verbali, Pignataro ha dichiarato al pm Montemurro di «non poter più vivere con quel peso sulla coscienza».
A convincerlo definitivamente a parlare fu la visione di un film con una bambina che faceva una fine tragica. Il rimorso lo assalì. E raccontò come l’agguato al procuratore capo di Sala Consilina fu preparato su decisione di Francesco Apicella, altro cutoliano di spicco in quegli anni nell’agro. Le inchieste di Lamberti lo avevano infastidito e voleva vendicarsi. L’agguato venne organizzato e preparato in sei mesi. Due furono quelli che occorsero per gli appostamenti. Il commando era formato da Antonio Pignataro e da altri tre cutoliani: Gerardo Della Mura, Claudio Masturzo e Gaetano De Cesare. Le auto erano due, nella 127 bianca d’appoggio c’era Pignataro. L’auto venne fornita da Giovanni Gaudio, che ha confermato. Di quel commando Pignataro è l’unico ad essere rimasto in vita.
Nell’inchiesta, a riscontro e come elementi d’accusa, compaiono anche le dichiarazioni del pentito Giovanni Gaudio e di Angelo Moccia, esponente del clan omonimo di Afragola, per molto tempo detenuto nella stessa cella di Pignataro.
Fu proprio Moccia a raccogliere le prime confidenze sull’omicidio di Simonetta Lamberti. Fu anche lui a spingere e consigliare Pignataro di parlarne con gli inquirenti. Già nei primi verbali, Pignataro ha dichiarato al pm Montemurro di «non poter più vivere con quel peso sulla coscienza».
A convincerlo definitivamente a parlare fu la visione di un film con una bambina che faceva una fine tragica. Il rimorso lo assalì. E raccontò come l’agguato al procuratore capo di Sala Consilina fu preparato su decisione di Francesco Apicella, altro cutoliano di spicco in quegli anni nell’agro. Le inchieste di Lamberti lo avevano infastidito e voleva vendicarsi. L’agguato venne organizzato e preparato in sei mesi. Due furono quelli che occorsero per gli appostamenti. Il commando era formato da Antonio Pignataro e da altri tre cutoliani: Gerardo Della Mura, Claudio Masturzo e Gaetano De Cesare. Le auto erano due, nella 127 bianca d’appoggio c’era Pignataro. L’auto venne fornita da Giovanni Gaudio, che ha confermato. Di quel commando Pignataro è l’unico ad essere rimasto in vita.
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