«Le intercettazioni vanno distrutte»
La Corte costituzionale: violata la riservatezza del Quirinale. Il pm Di Matteo: sempre rispettato la legge
ROMA - La Corte costituzionale ha accolto il ricorso del presidente della Repubblica che ha sollevato un conflitto di poteri con la procura di Palermo sulle conversazioni telefoniche del capo dello Stato con l'ex ministro Nicola Mancino indirettamente intercettate nell'ambito dell'inchiesta sulla presunta trattativa Stato-mafia. La decisione della Consulta comporta che le intercettazioni, finora mai rese pubbliche, vengano distrutte.Le utenze dell'ex ministro dell'Interno erano state intercettate nei mesi scorsi dai pm palermitani che indagano sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. Secondo l'accusa, Mancino - che si insediò al Viminale a inizio luglio 1992 - avrebbe mentito sui rapporti tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra intercorsi nei primi anni '90, durante la stagione delle stragi. Napolitano ha giudicato violate le sue prerogative ci capo dello Stato e ha fatto ricorso alla Consulta.
Secondo la Corte non spettava alla Procura valutare la rilevanza della documentazione relativa alle intercettazioni delle conversazioni telefoniche del presidente della Repubblica. A giudizio della Consulta «neppure spettava di omettere di chiederne al giudice l'immediata distruzione ai sensi dell'articolo 271, 3° comma, c.p.p. e con modalità idonee ad assicurare la segretezza del loro contenuto, esclusa comunque la sottoposizione della stessa al contraddittorio delle parti».
«Vado avanti nel mio lavoro con la coscienza tranquilla ritenendo di aver sempre agito nel pieno rispetto della legge e della Costituzione». Così il pm Nino Di Matteo, uno dei magistrati titolari dell'indagine sulla trattativa Stato-mafia, ha commentato la decisione della Consulta.
Per conoscere nel dettaglio la decisione assunta oggi dalla Consulta, dopo oltre 4 ore di Camera di Consiglio bisognerà attendere il deposito della sentenza, e quindi le motivazioni, che avverrà nelle prossime settimane, presumibilmente a gennaio.
Da quanto comunicato dalla Corte al termine della Camera di Consiglio però emerge che la Consulta ha ravvisato un'omissione da parte della Procura di Palermo per non aver attivato la procedura prevista per le intercettazioni vietate dall'art. 271 del codice di procedura penale. E da questo discende che i magistrati palermitani dovranno ovviare a questa omissione, chiedendo al giudice di distruggere le intercettazioni.
Soddisfazione al Quirinale e, naturalmente, «rispetto» per la sentenza della Consulta. È stata una giornata di attesa «serenà, si spiega al Quirinale, quella passata oggi dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che è parso ben più preoccupato per lo stallo della riforma della legge elettorale che dell'esito della lunga riunione della Corte costituzionale che oggi ha messo la parola fine ad un conflitto - non solo giuridico - con la procura di Palermo.
Quella di ricorrere alla suprema corte è stata sin dall'inizio una decisione obbligata, ha spiegato più volte Napolitano irritato dalle tante critiche sulla sua mossa giudiziaria: si tratta di una serie di insinuazioni gratuite, ha detto indignato lo scorso 15 ottobre da Firenze, perché, ha ripetuto, non hho mai interferito con le indagini della procura di Palermo. Tema urticante per il presidente quello del cosiddetto "caso Mancino" con tutti i suoi derivati tossici, i sospetti e le accuse di interferenza del Quirinale su una delle inchieste più delicate della storia repubblicana, la
trattativa tra Stato e mafia per fermare le stragi degli anni novanta.
Il conflitto con i Pm di Palermo aveva raggiunto nelle scorse settimane asprezze inusitate nei rapporti tra Colle e magistratura, come quando la Procura nella sua memoria aveva velenosamente messo nero su bianco che la «totale immunità vale solo per i re». Un caso esplosivo, partito da ben quattro telefonate tra Mancino e Napolitano intercettate dalla procura di Palermo che da tempo teneva sotto controllo l'ex presidente del Senato sospettato di essere uno degli attori della trattativa.
«Non ha mai voluto interferire con le indagini» e ho «sempre voluto la verità» una pagina buia della storia repubblicana che avrebbe coinvolto settori dello Stato, ha sempre detto il capo dello Stato nelle scorse settimane. Ma quella di ricorrere alla Consulta era «una decisione obbligata per chi abbia giurato dinanzi al Parlamento di osservare lealmente la
Costituzione». Per Napolitano bisognava «difendere» il ruolo della presidenza della Repubblica: anche e soprattutto per «chi verrà dopo di me», ragionava nei giorni sofferti del ricorso. E la sentenza di oggi gli ha dato ragione e ha disposto la distruzione delle registrazioni di quelle quattro telefonate con Mancino, peraltro mai rese pubbliche.
«È un tema complesso e l'intervento della Consulta ha fatto chiarezza su una situazione non regolata da una norma specifica del codice di Procedura Penale e che si prestava a diverse interpretazioni». Così il presidente dell'Anm Rodolfo Sabelli.
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