Mafia, sequestrata azienda edile a
San Giuseppe Jato
PALERMO. La Questura di Palermo ha sequestrato
un'impresa edile riconducibile a Giuseppe Bommarito, 68 anni, di San Giuseppe
Jato, già condannato in via definitiva a 10 anni e 6 mesi per associazione
mafiosa ed estorsione e attualmente sottoposto alla sorveglianza speciale con
obbligo di soggiorno a San Giuseppe Jato per 4 anni. Bommarito avrebbe ottenuto
lavori pubblici e privati grazie a pressioni e segnalazioni di boss mafiosi.
La sezione Misure di prevenzione del tribunale ha accolto la proposta avanzata dal questore di Palermo lo scorso 13 ottobre; ma in passato un analogo provvedimento aveva portato alla confisca, avvenuta nel 2007, di società e ditte individuali di Bommarito. Nonostante i provvedimenti di sequestro e confisca, erano state avviate nuove imprese. Si è giunti così all'individuazione della ditta individuale "Bommarito Giuseppe Antonio", figlio di Giuseppe, avviata nel 2008, nella quale è confluita in buona parte la stessa forza lavoro proveniente dalle vecchie aziende confiscate.
La sezione Misure di prevenzione del tribunale ha accolto la proposta avanzata dal questore di Palermo lo scorso 13 ottobre; ma in passato un analogo provvedimento aveva portato alla confisca, avvenuta nel 2007, di società e ditte individuali di Bommarito. Nonostante i provvedimenti di sequestro e confisca, erano state avviate nuove imprese. Si è giunti così all'individuazione della ditta individuale "Bommarito Giuseppe Antonio", figlio di Giuseppe, avviata nel 2008, nella quale è confluita in buona parte la stessa forza lavoro proveniente dalle vecchie aziende confiscate.
"Pizzo a macelleria di
Sferracavallo" Condannato a sei anni e mezzo
Pena inflitta a Salvatore Randazzo, detto
"razzatinta", accusato di tentativo di estorsione aggravata
PALERMO. La quinta sezione del Tribunale di Palermo
ha condannato a sei anni e mezzo di reclusione Salvatore Randazzo, detto
«razzatinta», accusato di tentativo di estorsione aggravata. L'uomo è stato
denunciato dai titolari di una macelleria di Sferracavallo vittime di una serie
di intimidazioni e danneggiamenti da parte del racket del pizzo. Come ha
ricostruito il pm, Amelia Luise, gli avvertimenti mafiosi iniziarono con un
furto, poi ci fu il taglio dei cavi dell'energia elettrica che alimentavano la
cella frigorifera della macelleria, infine l'incendio della saracinesca del
locale, tra il 2009 e il 2010. La titolare ha raccontato di aver deciso di
denunciare quando ad aprile del 2010 trovò la colla nei lucchetti, segnale
esplicito della «visita» degli estortori.
In aula, ha ricordato che a maggio 2009 Randazzo si era presentato con un «amico» nel negozio. «Ha voluto parlare con il mio compagno - ha raccontato nelle scorse udienze - dicendo che erano cose da uomini, ma io mi sono messa vicino per sentire. A un certo punto disse 'qui c'è un mio amico che deve camparè, ma quel tipo era venuto la settimana prima a chiedere un chilo di carne per i carcerati e la storia mi insospettì. A quel punto intervenni e li mandai via».
Nel pomeriggio la donna e il compagno andarono alla friggitoria gestita dall'imputato. «Gli dissi che se fosse venuto un'altra volta lo avrei denunciato - ha raccontato - Dopo questo episodio non si presentarono più. Comunque non ci hanno mai chiesto soldi». Ma arrivarono le intimidazioni. La commerciante è rimasta senza clienti dopo la decisione di denunciare e ha dovuto chiudere il negozio.
In aula, ha ricordato che a maggio 2009 Randazzo si era presentato con un «amico» nel negozio. «Ha voluto parlare con il mio compagno - ha raccontato nelle scorse udienze - dicendo che erano cose da uomini, ma io mi sono messa vicino per sentire. A un certo punto disse 'qui c'è un mio amico che deve camparè, ma quel tipo era venuto la settimana prima a chiedere un chilo di carne per i carcerati e la storia mi insospettì. A quel punto intervenni e li mandai via».
Nel pomeriggio la donna e il compagno andarono alla friggitoria gestita dall'imputato. «Gli dissi che se fosse venuto un'altra volta lo avrei denunciato - ha raccontato - Dopo questo episodio non si presentarono più. Comunque non ci hanno mai chiesto soldi». Ma arrivarono le intimidazioni. La commerciante è rimasta senza clienti dopo la decisione di denunciare e ha dovuto chiudere il negozio.
Lettera
anonima per Ingroia: “Vi facciamo il funerale”
La missiva recapitata nell'abitazione padovana di Giorgio
Ghirello, responsabile della segreteria organizzativa e dell'immagine web
dell'ex sostituto procuratore di Palermo
PADOVA. Una lettera minatoria è stata recapitata oggi
all'abitazione padovana di Giorgio Ghirello, responsabile della segreteria
organizzativa e dell'immagine web dell'ex sostituto procuratore di Palermo
Antonio Ingroia. A denunciarlo ai Carabinieri lo stesso Ghirello che conferma
telefonicamente l'accaduto all'ANSA. "Ho ricevuto questo fogliettino nella
cassetta delle lettere - spiega - .Non c'erano rivendicazioni. Solo un mirino
con scritto 'Tu e ingroia siete due pezzi di m.... ve lo facciamo noi il
funerale'". "Non sarà certamente un messaggio del genere - conclude -
a farmi abbandonare la mia attività a supporto del magistrato antimafia Ingroia
e di quanti in questi anni come noi si sono battuti per la legalità in questo
Paese".
Finanziere
in servizio a Reggio Calabria informava i boss delle indagini antidroga
Il militare della
Guardia di finanza è indagato nell'inchiesta della Dda di Napoli che ha portato
in carcere 28 persone e 5 ai domiciliari, smantellando un’associazione per
delinquere a Mondragone finalizzata allo spaccio di stupefacenti. La complicità
del militare avrebbe permesso di favorire le operazioni di spaccio
REGGIO CALABRIA - C'è anche un militare della Guardia di
finanza in servizio a Reggio Calabria nel 2010 tra gli indagati nell’ambito
dell’operazione della Dda di Napoli che ha smantellato un’associazione per
delinquere a Mondragone finalizzata allo spaccio di droga che ha portato dietro
le sbarre 28 persone e altre cinque ai domiciliari. Il nome del finanziere è
nell’ordinanza di 1.230 pagine firmata dal gip del tribunale di Napoli Maria
Vittoria Foschini.
Il finanziere, stando alle indagini, avrebbe rivelato i segreti da ufficio in quanto nel giugno del 2010 rivelò ad uno dei capi dell’organizzazione che si dedicava allo spaccio di droga, Salvatore Pagliuca, e al suo braccio destro Giovanni Lungo, gestore della piazza di spaccio, l'esistenza di un’indagine a loro carico della Dda di Reggio Calabria e l’emissione entro pochi giorni di un’ordinanza d’arresto che la stessa Guardia di finanza avrebbe dovuto eseguire. I due, in seguito alla notizia, si resero latitanti per poi essere informati dallo stesso militare che il provvedimento, effettivamente eseguito il 22 giugno del 2010, non li riguardava. Anche grazie alla presunta complicità del militare, Pagliuca ha gestito il traffico e la distribuzione di droghe leggere e pesanti a Mondragone, nella villetta comunale trasformata in un supermarket aperto a ciclo continuo, nonostante gli arresti effettuati in particolare a fine 2010 dagli investigatori del commissariato di Castel Volturno
Il finanziere, stando alle indagini, avrebbe rivelato i segreti da ufficio in quanto nel giugno del 2010 rivelò ad uno dei capi dell’organizzazione che si dedicava allo spaccio di droga, Salvatore Pagliuca, e al suo braccio destro Giovanni Lungo, gestore della piazza di spaccio, l'esistenza di un’indagine a loro carico della Dda di Reggio Calabria e l’emissione entro pochi giorni di un’ordinanza d’arresto che la stessa Guardia di finanza avrebbe dovuto eseguire. I due, in seguito alla notizia, si resero latitanti per poi essere informati dallo stesso militare che il provvedimento, effettivamente eseguito il 22 giugno del 2010, non li riguardava. Anche grazie alla presunta complicità del militare, Pagliuca ha gestito il traffico e la distribuzione di droghe leggere e pesanti a Mondragone, nella villetta comunale trasformata in un supermarket aperto a ciclo continuo, nonostante gli arresti effettuati in particolare a fine 2010 dagli investigatori del commissariato di Castel Volturno
Lea
Garofalo, la svolta è arrivata grazie alla confessione del fidanzato della
figlia
E' stato Carmine
Venturino a far ritrovare il corpo della donna di Petilia uccisa in Lombardia.
Il giovane che fu indotto a corteggiare Denise è stato condannato
all'ergastolo. E ora ha scelto di parlare: se la prende con la «legge che vige
in Calabria» e spiega che «il coraggio di Denise, la forza che ha, mi è servita
da esempio, voglio che sia fatta luce per lei»
CARMINE oggi ha 34 anni e la sua vicenda era stata una delle
pagine più crudeli della amarissima storia di Lea Garofalo. La famiglia
criminale dei Cosco lo aveva indotto a corteggiare Denise, la figlia della
donna, per tenere sotto controllo quello che stava diventando un pericolo. Poi,
Carmine aveva partecipato all'omicidio di Lea. Strangolata e poi data alle
fiamme e non sciolta nell'acido come si è a lungo ritenuto. Ed è stato proprio
Carmine a permettere di ricostruire i particolari esatti del barbaro delitto e
a far ritrovare i resti del corpo. Carmine Venturino ora ha deciso di
collaborare con la giustizia. «Il coraggio di Denise, la forza che ha, mi è
servita da esempio» svela in una lettera ripresa da Alessandra Coppola e Cesare
Giuzzi sul Corriere della Sera.
Il giovane è stato condannato all'ergastolo insieme ad altre
5 persone, tra le quali Carlo Cosco, l'ex compagno di Lea e padre di Denise, un
uomo delle cosche di Petilia che più di tutti aveva da temere quando la donna
aveva deciso di testimoniare e raccontare tutte le vicende criminali che
avevano interessato la sua famiglia. Attirando Lea in una trappola in nome
della figlia comune, Cosco l'aveva uccisa con la complicità degli altri, tra i
quali proprio Carmine: «Non sono un mafioso, non sono un mostro» dice ora l'ex
di Denise, aggiungendo di averlo dovuto fare «per la legge che vige in
Calabria».
Poi spiega anche perché ora ha deciso di parlare e far
ritrovare il corpo di Lea: «È una cosa molto delicata e credo che a tutti
farebbe piacere sapere come sono andati realmente i fatti sulla scomparsa di
lei, in particolar modo a Denise: io voglio far luce su questa storia per lei».
Nuovo
colpo all'inchiesta politica-'ndrine Prescrizione salva Vrenna e Dionisio Gallo
La sentenza della
Corte d'appello di Catanzaro "smonta" le tesi dell'indagine sui
rapporti oscuri a Crotone. La prescrizione tira fuori sei persone, mentre sono
stati assolti con formula piena l’ex assessore alla Provincia di Crotone del
Prc, Giuseppe Puccio, Silvana Alessio e Luigi Foglia
CROTONE - Non doversi procedere per intervenuta
prescrizione. È questa la sentenza emessa dai giudici della Corte d’appello di
Catanzaro nei confronti dell’ex vice presidente di Confindustria Calabria ed ex
presidente del Crotone calcio, Raffaele Vrenna, e per l’ex assessore alla
forestazione della Regione Calabria, Dioniso Gallo, in carica nell’esecutivo di
centrodestra. Vrenna e Gallo erano imputati insieme ad altre sette persone nel
secondo processo d’appello scaturito dall’inchiesta della Dda di Catanzaro
denominata 'Puma'. Nel primo processo d’appello Vrenna era stato assolto
dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e condannato ad un anno
e otto mesi per falso e corruzione. Gallo, invece, era stato condannato nel
primo appello a due anni di reclusione. Successivamente c'era stata la
decisione della Cassazione che aveva disposto lo svolgimento di un nuovo
processo d’appello a Catanzaro che si è concluso stamane con tre assoluzioni e
sei non doversi procedere per intervenuta prescrizione.
Nel secondo processo d’appello sono stati assolti, perchè il fatto non sussiste, l’ex assessore alla Provincia di Crotone del Prc, Giuseppe Puccio, ed altri due imputati, Silvana Alessio e Luigi Foglia. Non doversi procedere per intervenuta prescrizione, invece, per Salvatore Tassone, Luigi Gravone Giuseppe Clarà e Rosario Scandale. L’inchiesta, che era stata condotta dalla Dda di Catanzaro, si riferiva a presunti rapporti tra politici, imprenditori e appartenenti a cosche della 'ndrangheta del crotonese. Già nel primo processo d’appello i giudici avevano escluso le aggravanti della mafiosità ed gli altri reati collegati con la criminalità organizzata.
Nel secondo processo d’appello sono stati assolti, perchè il fatto non sussiste, l’ex assessore alla Provincia di Crotone del Prc, Giuseppe Puccio, ed altri due imputati, Silvana Alessio e Luigi Foglia. Non doversi procedere per intervenuta prescrizione, invece, per Salvatore Tassone, Luigi Gravone Giuseppe Clarà e Rosario Scandale. L’inchiesta, che era stata condotta dalla Dda di Catanzaro, si riferiva a presunti rapporti tra politici, imprenditori e appartenenti a cosche della 'ndrangheta del crotonese. Già nel primo processo d’appello i giudici avevano escluso le aggravanti della mafiosità ed gli altri reati collegati con la criminalità organizzata.
Il figlio del boss Licciardi
nascondeva nel box auto una tonnellata di botti
NAPOLI - Figlio del boss aveva nel box auto una tonnellata
di botti illegali: è quanto hanno scoperto i carabinieri a Napoli. Era il
22enne Gennaro Licciardi, figlio di Vincenzo, ritenuto a capo dell'omonimo clan
attivo nell'area nord di Napoli e attualmente detenuto, a possedere l'elevata
quantità di materiale esplosivo : il tutto senza precauzione e, quindi, creando
potenziale pericolo per il vicinato.
Nel corso dei controlli, i carabinieri di Casoria hanno scoperto i botti nel box auto, nel pieno centro del quartiere di Secondigliano. Per procedere in sicurezza alla catalogazione, sono stati fatti intervenire sul posto gli artificieri antisabotaggio dei carabinieri di Napoli.
Questo il materiale sequestrato: 5.900 rendini fabbricati artigianalmente e 750 chilogrammi di materiale di IV e V categoria, razzi, botti, fontane di fuoco e altro. Licciardi junior è stato arrestato per detenzione di materiale esplosivo ed esplodente.
Nel corso dei controlli, i carabinieri di Casoria hanno scoperto i botti nel box auto, nel pieno centro del quartiere di Secondigliano. Per procedere in sicurezza alla catalogazione, sono stati fatti intervenire sul posto gli artificieri antisabotaggio dei carabinieri di Napoli.
Questo il materiale sequestrato: 5.900 rendini fabbricati artigianalmente e 750 chilogrammi di materiale di IV e V categoria, razzi, botti, fontane di fuoco e altro. Licciardi junior è stato arrestato per detenzione di materiale esplosivo ed esplodente.
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