mercoledì 29 aprile 2015

Approvata la Relazione della Commissione sui testimoni di giustizia


Dopo la discutibile iniziativa che ha visto sfilare i testimoni di giustizia incappucciati in occasione della conferenza stampa indetta dal presidente della Regione Siciliana, Rosario Crocetta, in merito alla loro assunzione, la Camera approva il primo passo serio alla lotta alla criminalità organizzata che va  al di là di inutili passerelle, proclami e bandierine.
Il contrasto alle attività criminali non può prescindere dall’adozione di strumenti legislativi che tengano conto del ruolo dei testimoni di giustizia e della necessità di predisporre adeguate misure di protezione degli stessi, tenendo conto anche del mantenimento del loro  pregresso tenore di vita.

Il primo passo, importante, è stato quello  avanzato dal coordinatore del V Comitato della Commissione Antimafia, Davide Mattiello (Pd), che ha messo a punto la Relazione sui testimoni di giustizia votata dalla Camera,  di fare un distinguo con i collaboratori di giustizia, ovvero con quelli comunemente conosciuti come pentiti.
Un distinguo necessario visto che spesso si confonde il testimone di giustizia, soggetto estraneo ai fatti criminosi, con il collaboratore di giustizia (pentito), ovvero chi avendo fatto parte di un’associazione mafiosa collabora con la giustizia ottenendo in cambio i vantaggi previsti dalla legge.
Secondo punto, non meno importante, l’adozione di strumenti di tutela, di assistenza economica e reinserimento lavorativo, valutando i singoli casi.

Concetti ben diversi da quelli che il presidente Crocetta aveva previsto nella nuova norma per l’assunzione dei testimoni di giustizia, indicata dallo stesso come “un fiore all’occhiello, unica in Europa”, che nel fare un tutt’uno indistinto dei testimoni non teneva presente le diverse necessità e la storia soggettiva, finendo con il mortificare lo status di alcuni, mettendone anche a rischio l’incolumità, beneficiandone altri le cui necessità, e forse anche i rischi  che corrono, sono ben diversi.
Aspetti che sono stati condivisi anche dalla presidente della Commissione parlamentare Antimafia, Rosy Bindi, che ha così commentato la Relazione della Commissione sui testimoni di giustizia, prima che si procedesse al voto:

“E’ necessario un ammodernamento del nostro modo di combattere le mafie. Noi riteniamo che dopo la legge del 13 febbraio del 2001, la sua applicazione e la sua sperimentazione da parte dei Governi che si sono succeduti nel tempo, sia necessario procedere ad alcune modifiche. Preannuncio subito che lavoreremo anche alla modifica che riguarda i collaboratori di giustizia. Dobbiamo distinguere queste due figure per riuscire a portare verso la zona bianca coloro che oggi abitano la zona grigia e che molto facilmente possono invece scivolare verso la zona nera. Il diverso modo con cui agiscono oggi le mafie, che oltre all’uso della violenza sanno creare complicità e connivenze, ci deve portare ad avere un atteggiamento che sintetizzerei con questa immagine: le braccia aperte per accogliere coloro che, anche dopo aver sbagliato, ma non essendo mai diventate parte integrante delle associazioni mafiose, dopo esserne diventate vittime vogliono recidere assolutamente questo rapporto che in una fase li ha visti in qualche modo complici o, quantomeno, li ha visti lucrare la convenienza di questo rapporto”.

In questo contesto, finalmente, si fa riferimento all’applicazione di regole da applicare a tutti, ma attraverso una forte personalizzazione visto che si tratta di storie soggettive diverse, come diverse sono le conseguenze singolarmente subite dai testimoni di giustizia e dalle loro famiglie. “Si tratta comunque di storie ciascuna con la sua originalità – ha affermato la Bindi – Basta ascoltarli per capire quanto una scelta come quella che loro hanno fatto per tutti noi abbia inciso profondamente nella loro esistenza e nell’esistenza dei loro cari”, aggiungendo che quando e dove è possibile, il testimone di giustizia deve restare a casa propria, continuando la propria attività laddove si trova.

Dello stesso avviso il viceministro all’Interno, Filippo Bubbico, il quale ha sottolineato che “bisogna favorire la permanenza dei testimoni di giustizia nei luoghi di residenza”.

Bubbico è anche intervenuto in merito alla personalizzazione, affermando “che la relazione mette bene in evidenza e che riguarda gli operatori economici, gli imprenditori, che denunciano, che rendono testimonianza e che, per effetto della loro testimonianza, vivono situazioni particolarmente difficili nell’esercizio della loro attività economica, della loro attività produttiva, della loro attività commerciale o professionale, perché agire in contesti ostili e difficili per chi ha denunciato, per chi ha testimoniato, è particolarmente gravoso. E allora vanno studiate, come nella relazione viene suggerito, quelle modalità, conformi all’ordinamento comunitario, che possano favorire l’assegnazione diretta di commesse, l’esecuzione di opere da parte della pubblica amministrazione, in ragione compatibile con le regole della concorrenza e del mercato. Occorrerà definire eventualmente una specifica misura da notificare alla Commissione europea, perché possa essere praticato un regime di esenzione, magari modulato per determinati valori, per quegli operatori economici che testimoniano la loro volontà di opporsi alle organizzazioni criminali”

Si tratterebbe in pratica di una modifica alla norma che tutela il TESTIMONE DI GIUSTIZIA con lo “SPECIALE PROGRAMMA DI PROTEZIONE” n.45/2001 e dal D.M. n.161/2004.
Una modifica più volte sollecitata da Angelo Vaccaro Notte, il testimone di giustizia che tramite interventi presso la Commissione Antimafia e a mezzo stampa aveva denunciato le numerose lacune della norma, non lesinando aspre critiche ai governi succedutisi nel corso degli anni che in un’ottica di accordi di carattere politico hanno garantito le poltrone ad ogni cambio di legislatura a soggetti spesso privi di esperienza in materia, limitandosi ad un’alternanza dei ruoli che poco o nulla ha prodotto in termini fattuali rispetto la problematica in oggetto.

Per la prima volta questa modifica potrebbe garantire al testimone l’effettivo mantenimento del pregresso tenore di vita, corresponsione di una somma a titolo di mancato guadagno, concordata con la commissione, derivante dalla cessazione dell’attività imprenditoriale e lavorativa propria nella località di provenienza.

Numerose le discrasie che Vaccaro Notte aveva posto in evidenza rispetto una norma che non teneva conto dei problemi di alcuni testimoni che vivono in località protetta e che non possono rientrare in Sicilia, per i quali lo Speciale Programma di Protezione prevedeva la possibilità di essere assunti a Roma o in un paese della Comunità Europea, non tenendo conto di quanti nel corso di questi anni avevano investito nelle regioni di residenza, dove vivono sotto tutela e con una nuova identità, creando nuove prospettive per i propri figli e un indotto economico che ha finito con il favorire l’occupazione e l’economia della regione di residenza.

“Roba da “ricovero ospedaliero” l’aveva definita Vaccaro Notte che nel corso di 15 anni del suo “calvario” ha assistito a diversi avvicendamenti di presidenti e membri Commissione Centrale senza che si fosse mai presa in seria considerazione la possibilità di applicare quanto previsto dallo Speciale Programma di Protezione e di apportare le necessarie modifiche affinché non si mortificasse la dignità di chi per uno spiccato senso di dovere sociale ha finito con il perdere prospettive economiche, mettendo a repentaglio la propria incolumità e quella dei suoi familiari, privandosi inoltre delle proprie radici dovendo cambiare regione e a volte anche la propria identità.


Gian J. Morici





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