domenica 12 gennaio 2014

«Io, la moglie del boss vi dico chi era Chelangelo Stramaglia»





di TOMMASO FORTE
L’ex boss di Valenzano, Michelangelo Stramaglia, 49 anni, ucciso con un colpo di pistola all’addome il 24 aprile 2009 era il «sindaco» e la sua casa, invece, l’epicentro di incontri di «preghiera». Lui era «Padre Pio», ascoltava tutti, buoni e cattivi. Impartiva penitenze e assolveva i peccatori. Il suo potere era proteggere i deboli e «rubare» ai ricchi. Un «benefattore» per alcuni. Un criminale autentico, per qualcun altro.

POLITICO - Aveva il senso degli affari e della politica. E nel suo territorio era il mediatore per eccellenza della macchina amministrativa, delle lottizzazioni, degli appalti e delle speculazioni edilizie. Stramaglia era ritenuto dai magistrati antimafia il capo indiscusso di un sistema mafioso-criminale senza eguali. Nella piazza centrale di Valenzano, in cui «benediva» il suo business, era facile notare alcuni notissimi esponenti della politica barese e pugliese, una coda interminabile di uomini delle «istituzioni» che chiedevano consenso elettorale a Michelangelo. E lui, ovviamente, ascoltava tutti.

SAVINUCCIO - Ma la cosa più curiosa è che a Valenzano Stramaglia, leader della criminalità organizzata ed astuto amico in affari del boss Savinuccio Parisi, aveva il potere della scelta, poteva determinava chi doveva vincere e chi, invece, doveva perdere. Un patriarca. Una guida spirituale, insomma, che veniva ascoltato e acclamato come un Re.

IL RITRATTO - La storia inedita, e certo un po’ scomoda, del boss ce la consegnano Anna e Maria, moglie e figlia di Michelangelo Stramaglia. Storia d’amore affascinante, storia familiare comune, storia criminale di spessore: questo è il racconto. Negli ultimi vent’anni - rivelano invece gli atti giudiziari - il boss Stramaglia ha gestito il pagamento di mazzette e appalti pubblici che si organizzavano e ripartivano non solo a Bari, fino a pianificare giri di affari tra Napoli, Roma e Milano. Una rete, quella di Stramaglia, in cui la politica, ovvio, quella delle lobby soprattutto, era l’epicentro di una distribuzione «legittima» tra chi governava la cosa pubblica e il malaffare.

MILIARDI IN TASCA - Fu Michelangelo Stramaglia a rivolgersi al riciclatore per eccellenza Michele Labellarte, per pulire la ricchezza del suo clan: un ingente «patrimonio» di denaro in contanti. Questo è quanto è emerso dalle indagini della Dda, che hanno portato alla confisca, da parte dei militari della Guardia di Finanza, di beni per diversi milioni di euro. L’operazione della Dda fu resa possibile grazie al cosiddetto «pacchetto sicurezza », che ha introdotto proprio la possibilità di procedere all’applicazione di misure preventive anche nel caso in cui il destinatario sia deceduto, rivalendosi sui suoi eredi, proprio per il legame esistente tra il patrimonio e l’accumulo di ricchezza attraverso le attività illecite gestite a suo tempo dal boss.

BARI E L’HINTERLAND - Stramaglia, secondo la ricostruzione operata dal Gico della guardia di finanza di Bari, rivestiva un ruolo strategico, essendo, appunto, luogotenente del boss Parisi Savino e a capo dell’omino clan dominante su Valenzano, Acquaviva delle Fonti, Cassano delle Murge, Adelfia, Bitritto, Noicattaro, Rutigliano, Sannicandro e altre zone confinanti. La sua appartenenza al clan Parisi è stata sancita, tra l’altro, all’esito del processo «Blue moon».

MARITO E PADRE AFFETTUOSO - Nel processo «Domino» i giudici della Corte di Appello di Bari hanno confermato il proscioglimento da ogni accusa per Anna Pietrantonio, 50 anni e Maria Stramaglia, 32 anni, rispettivamente moglie e figlia di Stramaglia, con le accuse di concorso esterno in associazione mafiosa. «Ho conosciuto Michelangelo quando avevo appena 12 anni, lui invece ne aveva 17. Poi la fuitina e l’amore infinito di una coppia che non si è più separata. Anzi, ci hanno separato dopo il suo agguato». Sono le parole di Anna Pietrantonio, la moglie. Racconta la sua vita con passione e gioia, ricorda suo marito da benefattore e da gentiluomo. Insomma, traccia un profilo personale e, ovviamente, gli occhi lucidi lasciano intendere che è stata una coppia vera.

NON VOLEVA CHE SI SPACCIASSE - «Lui era una persona che aiutava tutti ed è morto per salvare la sua Città. La difendeva da tutti e, aggiungo, non voleva che altri invadessero il suo campo. Valenzano, ripeteva, deve restare pulita e la droga non deve e non può essere spacciata, poiché, i ragazzi devono vivere serenamente nella nostra comunità. Aveva le idee chiare Michelangelo. Valenzano deve rimanere nitida».

UN COCCOLONE - Stramaglia incomincia la sua ascesa quando, ad appena 21anni, diventa papà di Marina, la sua primogenita. “Mio padre era un persona speciale - spiega la figlia Marina - e noi, a casa, abbiamo sempre rispettato la sue scelte, poiché, nostro padre, non coinvolgeva la famiglia nelle sue attività. Era solare con i suoi figli. Ha sempre seguito la nostra crescita, aggiungo, con molta attenzione e ci ha seguito anche nel nostro percorso scolastico. Era un coccolone e voleva che io e mio fratello rispettassimo le regole. Le regole dello studio, della buona educazione e dell’ossequio verso gli altri. Quindi, non un criminale, ma ripeto, un capofamiglia da imitare. È poco definirlo padre speciale. Mio padre è stato un uomo molto energico, lo ammiravo moltissimo. Quando arrivava io uscivo per andargli incontro. Ricordo gli abbracci, mi sollevava e mi lanciava per aria per riafferrarmi immediatamente con forza. Un uomo forte e straordinario».

IL CONTRABBANDO - Gli anni in cui il boss si è arricchito sono stati gli anni tra il 1996/1997. La sua attività dominante era quella di «dirigere » le squadre che smistavano sulla costa pugliese le sigarette. «La notte non c’era mai - prosegue Anna Pietrantonio - ed era sempre in giro. Lavorava assiduamente per far stare serena la nostra famiglia e coloro i quali lavoravano con lui. Insomma, i suoi uomini e la sua famiglia erano cose intoccabili. I ricordi sono tanti e tutti belli. Di sicuro, in molti, non crederanno al mio racconto, poiché, sono certa, la moglie di un boss è difficile che possa raccontare una bella storia di famiglia. Una storia, vera che la Gazzetta ha voluto raccontare. Ho deciso di aprirmi perché ritengo che la libertà interiore è fondamentale e io, oggi, ho una famiglia eccezionale da tutelare e amare. Noi siamo una famiglia per bene. Non solo. Grazie per avermi dato la possibilità di dire con lealtà che mio marito pur essendo un boss era una brava persona. Lui, ripeto, aveva un grande cuore, un cuore per i deboli e i bisognosi. Dopo la tragedia ci siamo rimboccate le maniche e avviato quel percorso di ricostruzione di una famiglia straziata dal dolore. Lo ripeto: Michelangelo era un boss, ma era un bravo marito e papà. A Valenzano lo ricordano tutti come un generoso, pagava sempre quando faceva la spesa e quando qualcuno gli faceva un regalo rifiutava».

Un marito buono e un boss spregiudicato nei suoi affari. «Quando vedeva qualcuno in difficoltà lo sosteneva, non faceva l’usuraio». Parla ancora la figlia Marina. «Non devo disapprovare nulla, in quanto, io sono la figlia di Michelangelo Stramaglia e non posso disconoscerlo. Sono felice di chiamarmi così e contenta perché è il cognome di mio padre. Ed io, come figlia, sono legata da un profondo affetto al nome che porto. Amo mia madre, che ci ha insegnato a vivere e devo della gratitudine a mio padre. Il momento più brutto della mia vita è stato la sua morte. Nostra madre è stata molto importante nella nostra vita e una donna da imitare. Una mamma speciale».

IL RISPETTO - «Mio padre è stato figlio di una famiglia modesta, e non di criminali, ma purtroppo quando ci si lega ad altri ambienti, la vita ti cambia e prende una brutta piega. È ciò che è successo a papà tutto in un attimo. Quando è morto lo hanno pianto tutti, dai cittadini agli amici di Japigia e Carbonara. Il cimitero era un via vai di persone. C’era Savinuccio, persona alla quale io porto un grande rispetto, soprattutto per la sensibilità che ha avuto a non lasciaci soli durante i giorni di dolore. E il rispetto lo devo anche alle forze di polizia che ci hanno lasciati sereni. Hanno avuto tutti, ripeto, un grande rispetto per la nostra famiglia».

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