Per i "locali" delle 'ndrine in Piemonte
Il procuratore generale piemontese ha chiesto al conferma delle pene per gli imputati coinvolti nel processo "Minotauro", l'operazione che aveva decapitato le cosche calabresi. In appello, per le persone che avevano scelto l'abbreviato, solo una piccola riduzione per 3 dei 58 detenuti che erano stati condannati nel primo processo
TORINO - La conferma delle condanne inflitte in primo grado - per un totale di circa 400 anni di reclusione - salvo una leggera riduzione per tre imputati è stata chiesta dal pg Elena Daloiso al processo d’appello su Minotauro, relativo alla presenza della 'ndrangheta nel Torinese. Ad essere chiamate in causa sono 62 persone che avevano scelto il rito abbreviato.
Il primo grado, per quanto attiene gli imputati che avevano scelto l'abbreviato, si era concluso con 58 condanne. Al termine del processo le assoluzioni erano state in tutto quattordici, ma solo sette erano gli imputati scagionati dal reato di associazione di stampo mafioso. Le condanne inflitte dal gup Trevisan nel primo grado di giudizio ammontano a un totale di 400 anni di carcere (la più elevata è tredici anni e mezzo di carcere). Nel primo grado per diversi imputati le pene sono state calcolate sulla base di sentenze precedenti. Nella sentenza di allora era anche contenuto la confisca di mezzo milione di euro di cui il gup Roberto Trevisan aveva ordinato la confisca. La stessa misura riguardava anche 28 immobili a Torino e provincia, quote societarie, titoli azionari, terreni, automobili. Oltre al carcere in alcuni casi il giudice aveva disposto, a fine pena, un periodo di libertà vigilata. Secondo le motivazioni della sentenza di primo grado (LEGGI L'ARTICOLO), la presenza della 'ndrangheta nel Torinese «riproduce pedissequamente le note strutturali interne tipiche della 'ndrangheta calabrese», evidenziando anche i rapporti tra mafia e politica.
I LOCALI DELLE 'NDRINE A TORINO. Con l'inchiesta Minotauro, sfociata lo scorso anno in 142 arresti, era stata smantellata la decina di bande (i cosiddetti "locali" nel lessico della 'ndrangheta) che operavano a Torino e nel circondario e che avevano tentato anche di tessere legami con gli ambienti politici di alcuni paesi. In seguito agli accertamenti del pool guidato dal procuratore aggiunto Sandro Ausiello i consigli comunali di Leinì e Rivarolo erano stati sciolti per infiltrazioni mafiose.
Nel processo ordinario sono coinvolte 75 persone. Fra esse Nevio Coral, ex sindaco di Leinì, e Antonino Battaglia, segretario comunale a Rivarolo (Torino).
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