La somma sarà erogata dal Fondo dei beni sequestrati a Cosa Nostra
PALERMOLa vedova di Paolo Borsellino contro le mogli di Totò Riina e Salvatore Biondino, nominate tutrici dei propri mariti e condannate a risarcire il danno legato alla strage di via D’Amelio: tre milioni 360 mila euro, secondo il tribunale di Palermo, è la cifra che i due boss mafiosi dovranno pagare ai prossimi congiunti del magistrato ucciso con i cinque agenti della scorta, il 19 luglio del 1992.
A erogare materialmente il denaro sarà il Fondo di rotazione e solidarietà per le vittime della mafia, che attinge dai beni confiscati ai boss. La sentenza è del giudice unico della prima sezione civile del tribunale del capoluogo siciliano, Luigi Petrucci. Per motivi formali, ma che comunque assumono una grande valenza simbolica, il processo è stato promosso dalla vedova del giudice, Agnese Piraino Leto, e dai figli Lucia, Manfredi e Fiammetta (tutti assistiti dall’avvocato Nino Lo Presti), contro Ninetta Bagarella, che rappresenta il marito, Totò Riina, privato di tutti i diritti e interdetto legalmente, così come l’altro «convenuto», Salvatore Biondino, a sua volta rappresentato dalla moglie Giuseppina Gioè.
Il risarcimento disposto dalla sentenza è di 755 mila euro per Agnese Piraino Leto, di 929 mila per la figlia Lucia, 815 mila per Manfredi e 861 mila per Fiammetta Borsellino. In giudizio non si è costituita nessuna delle donne dei due capimafia, mentre si è presentata l’Avvocatura dello Stato per conto del Fondo di rotazione: nella prima fase della causa civile, la difesa dello Stato aveva sostenuto l’insussistenza del «danno esistenziale subito dal giudice Borsellino, in considerazione dell’assenza del nesso di causalità fra l’evento considerato ed i danni da esso derivati». Il tribunale ha però respinto questa tesi, ritenendo che del danno esistenziale «sia stata data ampia prova», assieme al danno biologico e morale subito dal magistrato ucciso e dai familiari: «Non potrà mai rimarcarsi abbastanza - scrive il giudice Petrucci - che la perdita del marito e del padre, nel modo tragico che ha sconvolto le coscienze del Paese e, a maggior ragione, quella dei parenti più intimi, non potrà mai essere ’integralmentè compensata da una somma di denaro».
Fra i testimoni sentiti nel processo civile c’è stato anche il tenente dei carabinieri Carmelo Canale, ex stretto collaboratore di Borsellino, poi processato per concorso esterno in associazione mafiosa e assolto. «All’indomani della strage Falcone - scrive il giudice Petrucci - Paolo Borsellino aveva deciso di allontanarsi affettivamente dai figli per rendere meno traumatico il momento della sua uccisione, che intuiva essere ormai prossima». Cosa che, «nello stesso momento in cui è un danno per il padre, lo è anche per i figli, privati dell’affetto del padre, e per la moglie, costretta ad assistere allo strazio interiore del marito». La sentenza potrebbe essere impugnata dall’avvocato Lo Presti, perchè la famiglia aveva chiesto cinque milioni.
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