venerdì 20 dicembre 2013

Trent'anni per gli assassini di Angela Costantino

Fu uccisa per «salvare l'onore di Pietro Lo Giudice»

Angela Costantino, moglie del boss Pietro Lo Giudice, fu uccisa per lavare l'onore del boss tradito dalla donna mentre era in carcere. Per quelli che il gup ritiene essere mandante ed esecutore del delitto il magistrato ha disposto la condanna a 30 anni di carcere in abbreviato
 
 
di CLAUDIO CORDOVA
REGGIO CALABRIA - Il giudice per l'udienza preliminare, Carlo Alberto Indellicati, ha condannato a trent'anni di reclusione ciascuno Bruno Stilo e Fortunato Pennestrì, ritenuti rispettivamente mandante ed esecutore materiale dell'omicidio di Angela Costantino, moglie del boss Pietro Lo Giudice, fatta scomparire e secondo l'accusa uccisa per salvare l'onore del capoclan. Il Gup, all'esito del giudizio celebrato con rito abbreviato, ha dunque avvalorato l'impianto accusatorio portato avanti dal pubblico ministero Sara Ombra, che aveva appunto invocato 30 anni di carcere per Stilo e Pennestrì. Angela Costantino, 25enne all'epoca dei fatti, sarebbe stata uccisa per «un accordo di famiglia» (come dirà Iannò) a causa della sua relazione extraconiugale con un uomo nel periodo in cui il marito era detenuto. I suoi assassini l'avrebbero raggiunta alle prime ore del giorno del 16 marzo 1994. Da circa un mese abitava a Reggio Calabria in via XXV luglio, in un immobile al piano terra che, per decenni, è stato il feudo storico della cosca Lo Giudice. Lì, infatti, era più facilmente controllabile. A uccidere materialmente la donna sarebbe stato Fortunato Pennestrì. Bruno Stilo – uno dei "vecchi" dello storico clan Lo Giudice di Reggio Calabria – sarebbe invece stato tra i mandanti del delitto.

Venticinquenne, Angela Costantino era madre di 4 figli, la quinta gravidanza, col marito dietro le sbarre, non poteva passare inosservata. Costretta ad abortire, sempre secondo la ricostruzione dell’accusa, la donna sarebbe poi stata strangolata, subito dopo il corpo è stato fatto sparire. Qualche giorno dopo fu ritrovata la sua autovettura a Villa San Giovanni, nell’auto furono trovate le ricette mediche del Servizio salute mentale che secondo i familiari avrebbero accreditato invece la tesi della depressione e dell’allontanamento volontario della donna. L’accusa si è avvalsa della testimonianza di alcuni collaboratori di giustizia tra i quali Maurizio Lo Giudice, che alla vigilia della sentenza ha ritrattato le proprie dichiarazioni, e Nino Lo Giudice, riacciuffato dalla Squadra Mobile qualche tempo fa dopo che quest’estate era scomparso dalla località protetta ritrattando tutte le accuse.

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