di GIOVANNI LONGO
BARI - «A proposito, per quel concorso da allievi maresciallo è tutto ok?». Quando i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria del comando provinciale di Bari hanno sentito quella frase, forse non credevano alle loro orecchie. Eppure, l’inchiesta sulle presunte mazzette che alcuni candidati avrebbero pagato per superare il concorso per 297 posti da allievo maresciallo nella Guardia di finanza, è iniziata proprio così. Quasi casualmente.
I finanzieri stavano indagando su una presunta tangente, un fascicolo sfociato la scorsa estate in alcuni arresti. Una delle persone coinvolte in quel procedimento chiede al suo interlocutore informazioni su un candidato al concorso da allievo maresciallo. E quelle frasi non convincono. Più di un sospetto spinge il pm Luciana Silvestris ad aprire un nuovo fascicolo. Gli accertamenti sono affidati sempre alle fiamme gialle. E non deve essere stato facile per i finanzieri baresi che, negli ultimi anni, hanno condotto alcune tra le indagini più delicate in tema di reati contro la pubblica amministrazione, molte con un «respiro» nazionale, dovere effettuare accertamenti su propri colleghi (i casi sarebbero una decina, ma i militari infedeli sarebbero pochissimi) in servizio a Roma. Stando all’ipotesi accusatoria, avrebbero garantito ad alcuni candidati il superamento della selezione, dietro il pagamento di una mazzetta. Nell’abitazione di un militare, i colleghi baresi avrebbero scoperto contanti per una cifra che si aggirerebbe sui 70mila euro. Le ipotesi di reato sono: rivelazione del segreto d’ufficio e corruzione. Al momento non è ipotizzata l’associazione.
Trentamila euro la cifra che sarebbe servita per superare tutte le prove. Sarebbe stato sufficiente «far pervenire» i test psico-attitudinali prima della prova per spianare la strada della carriera militare. Conferme a questa ipotesi investigativa sarebbero giunte dal ritrovamento durante una perquisizione di una ventina di quiz nella disponibilità di uno dei militari coinvolti. Il militare coinvolto nell’indagine, da tempo in pensione, è ritenuto il personaggio-chiave. E proprio da lui sarebbero giunte parziali ammissioni. Confermate - sembra - anche dal genitore di un candidato. Perché in questa storia sarebbero in corso accertamenti anche su alcuni genitori. Padri di famiglia non certo vittime - è sempre l’ipotesi investigativa - ma che, al contrario, avrebbero indotto i pubblici ufficiali a compiere un atto, la rivelazione del segreto, contraria ai doveri d’ufficio, in cambio di una mazzetta.
Un sequestro di documenti, nelle scorse settimane, era stato impugnato da uno degli indagati davanti al Tribunale del Riesame. I giudici avevano dichiarato inammissibile il ricorso. Agli atti ci sarebbero anche altre conversazioni tra un finanziere e un ufficiale del Corpo. Gli inquirenti vogliono verificare se qualcuno ha millantato.
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