
Di Feo, inoltre, era responsabile degli accessi al porto dei custodi e dell’organizzazione del lavoro e anche della distribuzione dei pass: così, secondo l’accusa, riusciva a gestire i suoi interessi. «Io sono l’oste e questa è la mia osteria»: così – a quanto è stato reso noto in procura – il nostromo rispondeva a chi gli chiedeva che fine avessero fatto oggetti, strumenti per la pesca, reti e tutto quanto sequestrato sulle imbarcazioni o a pescatori che agivano in maniera irregolare.
E quando gli si chiedeva che fine avessero fatto reti o altro, secondo gli investigatori, qualcosa tornava al suo posto ma non i pezzi originali: se, per esempio, si trattava di reti, quelle sequestrate venivano sostituite con altre usurate e vecchie.
Per accertare i reati che sarebbero stati compiuti da Di Feo, gli investigatori – le indagini sono state compiute da personale delle capitanerie di Barletta e di Bari – hanno compiuto servizi di appostamento per accertarsi di quanto accadeva, a uno dei quali – a quanto è stato reso noto – ha partecipato anche il pm.
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