di GIOVANNI LONGO

Il gip del Tribunale di Bari Sergio Di Paola, pur riconoscendo a carico del presunto killer del boss «Chelangelo» Stramaglia sia i gravi indizi di colpevolezza, sia le esigenze cautelari (prima fra tutte il pericolo di fuga), non ha potuto fare altro che constatare l’evidenza: i «termini di fase» non si sono interrotti nè con un rinvio a giudizio, né con un decreto che dispone il giudizio abbreviato, nè con un decreto che dispone un giudizio immediato.
Delle due l’una: o la Dda ha chiesto troppo tardi al gip di valutare se ci fossero le condizioni per accedere a quest’ulti - mo rito alternativo che consente di «saltare» l’udienza preliminare. Oppure l’ufficio gip, già oberato di «carte» non ha proceduto tempestivamente.
Ciò che è certo, è che Pancotto è tornato libertà. In fumo, almeno per ora, il lavoro svolto dai carabinieri che, dopo quattro mesi di latitanza, inseguendo Pancotto per mezza Europa, assicurarono alla giustizia l’uomo arrestato il 23 agosto 2009 a Irschenberg (Baviera, Germania) in collaborazione con l’Interpol e la Polizia tedesca in un’area di servizio dell’autostrada che collega Monaco a Salisburgo, in Austria. Un arresto non facile considerando che l’uomo era sfuggito qualche giorno prima alla cattura in un blitz a Belgrado. Due settimane dopo venne stradato in Italia.
Stramaglia venne ucciso alle 20,30 del 24 aprile 2009 con un proiettile che lo raggiunse al fianco. Secondo i carabinieri e la Direzione distrettuale antimafia «Chelangelo», insieme con un paio di altri fedelissimi, rimproverò Pancotto per alcuni comportamenti ritenuti non ortodossi. La discussione degenerò e gli spallacci di «Chelangelo» avrebbero picchiato l’uomo accusato di omicidio volontario aggravato. Quest’ultimo, spazientito, avrebbe recuperato la sua pistola con cui sparò.
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