ROMA – Vittorio Sgarbi chiede le dimissioni del ministro dell’Interno Alfano dopo le rivelazioni, al processo Stato-Mafia, del pentito di mafia Carmelo D’Amico.
«A fronte della predicata azione antimafia e della logica del sospetto come anticamera della verità, dopo le dichiarazioni del neo pentito di mafia Carmelo D’Amico, e visto il comportamento corretto del ministro Lupi in occasione di un’analoga vicenda di sospetti, è inevitabile che il ministro Alfano si dimetta, per risparmiare all’Italia l’onta di un ministro dell’Interno eletto con i voti della mafia, cosa certamente verosimile ad Agrigento. Soprattutto se si valuta con quale infondato fumus il predetto ministro abbia sciolto per mafia, senza alcun riscontro certo, molte amministrazioni comunali».
http://www.lavalledeitempli.net/2015/04/17/mafia-accuse-pentito-ministro-alfano-sgarbi-si-dimetta/
Processo trattativa, D’Amico: “Alfano e Schifani hanno fatto accordi con Cosa nostra”
“Tra i politici che hanno fatto accordi con Cosa nostra ci sono anche Angelino Alfano e Renato Schifani, che sono stati eletti con i voti della mafia”. Lo ha detto il pentito messinese Carmelo D’Amico deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia. D’Amico ha detto di avere appreso la circostanza in carcere. “Alfano – ha aggiunto – lo aveva portato la mafia, ma lui poi le ha girato le spalle, l’unica cosa buona che avevano fatto era quella di aver delegittimato i collaboratori di giustizia. Tutte queste cose me le hanno dette Nino Rotolo e Vincenzo Galatolo”. Il collaboratore di giustizia ha anche aggiunto: “Forza Italia è nata perché l’hanno voluta i Servizi segreti, Riina e Provenzano per governare l’Italia. Berlusconi era una pedina di Dell’Utri, Riina, Provenzano e dei Servizi…
A riportare le rivelazioni, il sito AntimafiaDuemila che dedica un lungo articolo raccontando puntigliosamente le dichiarazioni dei pentiti che ripercorrono alcuni passaggi cruciali per i quali D’Amico dichiara di avere timori: “Per i nomi che farò oggi cercheranno di togliermi di mezzo. Come volevano fare con Di Matteo e Ingroia”…
http://www.lavalledeitempli.net/2015/04/17/processo-trattativa-damico-alfano-schifani-fatto-accordi-nostra/
Mafia, pentito: “Alfano portato da Cosa Nostra. Berlusconi
pedina di Dell’Utri”
Sono alcune delle dichiarazioni rilasciate alla corte
d'assise di Palermo da Carmelo D'Amico, l'ex killer di Barcellona Pozzo di
Gotto, oggi diventato l'ultimo super testimone dell'inchiesta sulla Trattativa
tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra. I magistrati lo considerano un
collaboratore altamente credibile. Merito delle confidenze raccolte nei due
anni trascorsi in carcere con Nino Rotolo, il boss di Pagliarelli fedelissimo
di Bernardo Provenzano
Il ministro dell’Interno Angelino Alfano? “Portato da Cosa
nostra, ma poi gli ha voltato le spalle”. Forza Italia? “Nata per volere dei
servizi segreti”. Silvio Berlusconi? “Una pedina nelle mani di Marcello
Dell’Utri”. Il pm Nino Di Matteo? “Lo vogliono morto sia Cosa Nostra che i
servizi segreti”. Parola di Carmelo D’Amico, l’ex killer di Barcellona Pozzo di
Gotto, oggi diventato l’ultimo super testimone dell’inchiesta sulla Trattativa
tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra.
È un collaboratore importante D’Amico, un pentito che i pm
del pool Stato – mafia considerano altamente credibile. Merito delle confidenze
raccolte nei due anni trascorsi in carcere con Nino Rotolo, il boss di
Pagliarelli fedelissimo di Bernardo Provenzano. “Rotolo mi disse che Matteo
Messina Denaro non è il capo di Cosa nostra, perché è il capomandamento di
Trapani: ma il capo di Cosa nostra non può essere un trapanese, deve essere
palermitano”, è uno dei tanti passaggi della deposizione di D’Amico, ascoltato
come testimone dalla corte d’Assise di Palermo che sta processando politici,
boss mafiosi ed alti ufficiali dei carabinieri per il patto segreto tra pezzi
delle istituzioni e Cosa Nostra.
Un racconto cominciato con un mea culpa: “Ho commesso almeno
una trentina di omicidi, soprattutto per i catanesi dal 1992 in poi: a un
ragazzo ho anche tagliato le mani”, ha confessato D’Amico, spiegando di aver
deciso di collaborare con la magistratura “dopo la scomunica dei mafiosi di
Papa Francesco, quelle parole mi hanno colpito moltissimo”. L’anatema del
pontefice contro i boss è del 21 giugno 2014: da quel momento D’Amico inizia ad
aprire il suo personalissimo libro dei ricordi, prima davanti ai pm della dda
di Messina, e poi con i magistrati del pool palermitano.
È davanti ai pm Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia, Vittorio
Teresi e Francesco Del Bene che D’Amico mette a verbale tutto quello che ha appreso
sui rapporti tra Cosa Nostra e le Istituzioni. Un racconto pieno di rivelazioni
inedite, replicato davanti alla corte d’assise, che coinvolge direttamente il
ministro dell’Interno. “Angelino Alfano – ha spiegato D’Amico collegato in
videoconferenza con l’aula bunker del carcere Ucciardone– è stato portato da
Cosa nostra che lo ha prima votato ad Agrigento, ma anche dopo. Poi Alfano ha
voltato le spalle ai boss facendo leggi come il 41 bis e sulla confisca dei
beni”.
Ma non solo. Perché a godere dell’appoggio delle cosche
sarebbe stato anche l’ex presidente del Senato Renato Schifani, già indagato
per concorso esterno alla mafia e poi archiviato. “Cosa nostra ha votato anche
Schifani, poi hanno voltato le spalle, e la mafia non ha votato più Forza Italia”.
Per il collaboratore, poi, il partito di Silvio Berlusconi sarebbe nato perché
sostenuto direttamente da Totò Riina e Bernardo Provenzano. “I boss votavano
tutti Forza Italia, perché Berlusconi era una pedina di Dell’Utri, Riina,
Provenzano e dei Servizi. Forza Italia è nata perché l’hanno voluta loro”. Poi
però il patto tra politica e boss s’interrompe. “All’epoca i politici hanno
fatto accordi con Cosa nostra, poi quando hanno visto che tutti i collaboratori
di giustizia che sapevano non hanno parlato, si sono messi contro Cosa nostra,
facendo leggi speciali, dicendo che volevano distruggere la mafia”.
D’Amico ha anche raccontato che a Barcellona Pozzo di Gotto
era attiva una loggia massonica. “Ne facevano parte uomini d’onore, avvocati e
politici, e la comandava il senatore Domenico Nania (ex vice presidente del
Senato col Pdl) : a questa apparteneva anche Dell’Utri”. La fonte dell’ex
killer di Barcellona Pozzo di Gotto è Rotolo, il boss palermitano con il quale
condivide tra il 2012 e il 2014 l’ora di socialità. Rotolo è un pezzo da
novanta, ex fedelissimo di Totò Riina e poi di Bernardo Provenzano. “Mi
raccontò che i servizi avevano fatto sparire dal covo di Riina un codice di
comunicazione per mettersi in contatto con politici e gli stessi agenti dei
servizi”. Ma il boss di Pagliarelli avrebbe fatto a D’Amico anche confidenze
sulla latitanza di Provenzano. “Mi disse anche che Provenzano era protetto dal
Ros e dai Servizi e non si è mai spostato da Palermo, tranne quando andò ad
operarsi di tumore alla prostata in Francia”.
Ed è sempre Rotolo che racconta a D’Amico il piano di morte
per assassinare Di Matteo. “Rotolo ne parlava con Vincenzo Galatolo: all’inizio
non lo chiamavano per nome, ma lo definivano cane randagio, poi io chiesi di
chi parlavano e mi risposero che si trattava di Di Matteo, e che aspettavano da
un momento all’altro la notizia dell’attentato”. Il racconto di D’Amico
riscontra implicitamente le rivelazioni di Vito Galatolo, figlio di Vincenzo,
il boss dell’Acquasanta, che per primo ha svelato come a partire dal dicembre
del 2012, Cosa Nostra avesse studiato nei dettagli un piano per assassinare il
pm della Trattativa. “Era stabilito che il dottor Di Matteo doveva morire – ha
aggiunto D’Amico – Rotolo mi ha raccontato che i servizi segreti volevano morto
prima il dottor Antonio Ingroia, poi Di Matteo. E siccome Provenzano non voleva
più le bombe, dovevamo morire con un agguato”.
Anche Vito Galatolo ha raccontato che in un primo momento
l’attentato contro il pm palermitano doveva essere fatto con 200 chili di
tritolo, già acquistati dalla Calabria e arrivati a Palermo. Poi però si passo
ad un piano di riserva, che prevedeva l’eliminazione del magistrato in un
agguato a colpi di kalashnikov. Appena poche settimane fa l’allerta al palazzo
di Giustizia è tornata ai massimi livelli, dato che uomini armati sarebbero
stati localizzati nei pressi di un circolo tennistico sporadicamente frequentato
dal pm. E se Galatolo aveva indicato in Messina Denaro il mandante
dell’omicidio (“Perché Di Matteo si sta spingendo troppo oltre” aveva scritto
il padrino di Castelvetrano ai boss di Palermo) per D’Amico l’ordine arrivava
anche da altri ambienti.
“A volere la morte di Di Matteo erano sia Cosa Nostra che i
Servizi perché stava arrivando a svelare i rapporti dei Servizi come fece a suo
tempo il dottor Giovanni Falcone”. E quando ad un certo punto l’attentato
sembra essere entrato in fase d’impasse, Rotolo e Vincenzo Galatolo provano ad
inviare D’Amico a Palermo. “Io – ha spiegato il pentito – dovevo uscire da lì a
poco dal carcere e si parlava di delegare me per portare avanti questa cosa”.
Il vero chiodo fisso di D’Amico, però, sono i servizi. “Arrivano dappertutto ed
è per questo che altri pentiti come Giovanni Brusca e Nino Giuffré non
raccontano tutto quello che sanno sui mandanti esterni delle stragi”. Alla fine
ecco anche una paradossale precisazione. “I servizi organizzano anche finti
suicidi in carcere: per questo voglio chiarire che io godo di ottima salute e
non ho nessuna intenzione di suicidarmi”.
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